Quando il Retrone faceva girare i mulini
E’ solo un piccolo foglio di carta, cm 57 x 43, ma racchiude l’immagine di un angolo antico della città di Vicenza. Su di esso una mano esperta ha restituito un tratto del fiume Retrone, quello compreso tra i ponti di San Paolo e di San Michele. Risalirebbe ad epoca romana, al primo secolo d. C., -così scrivono gli storici- il ponte indicato con delle Beccarie grandi. Derivava il nome dall’edifico che s’innalzava accanto e che era destinato alla macellazione delle carni.
Più recente -si fa per dire- è quello che compare sulla destra, il ponte di San Michele. Fu realizzato nel 1262 per servire l’omonima chiesa che era stata costruita proprio in quegli anni dagli eremitani di sant’Agostino. Nella metà del Settecento anche questo ponte si vide sorgere sul fianco un macello denominato, per distinguerlo dal primo, le Beccariette.
Autore della mappa è il pubblico perito Carlo Crestani, un tecnico della misura, della rilevazione e della restituzione cartografica. Il lavoro gli era stato commissionato nel 1757 dai carmelitani scalzi del convento di San Girolamo che aveva sede in contra’ San Marco nei locali oggi occupati dalla Scuola delle dame inglesi. Il disegno era infilato tra le carte dell’archivio del monastero e lì è rimasto per ben 260 anni, intatto e integro nei suoi smaglianti colori senza che né il tempo né l’uomo abbiano interferito in alcun modo sullo stato conservativo .
Protagonista della scena rappresentata è il fiume che è la forza motrice delle attività umane che lì si svolgono.
Le ruote, attive o ricordate nella legenda, macinano cereali o azionano mulini per la filatura della seta; sono mantenute in movimento, data la modesta corrente del RERONE, da sbarramenti, canali e sostegni. Lungo il corso del fiume funzionano botteghe e laboratori per la concia dei pellami e la tintura dei panni. L’acqua fornisce energia ma accoglie anche tutti gli scarti delle lavorazioni e proprio lì, in quell’area, riceve e deve smaltire le immondizie e le cloache provenienti dalla Piazza grande, da quella delle Erbe e dalle prigioni del Comune. Confluiscono tutte in un condotto che attraversa l’edificio delle Beccarie e sfociano poi nel Retrone.
Il perito poi, quasi a compensare il fetore proveniente dall’acqua, restituisce con accurata precisione, con eleganza e qualche libertà – si sa, la restituzione cartografica è tendenzialmente fedele al reale- le emergenze architettoniche che in quel tratto insistono. Il ponte delle Beccarie grandi mostra ancora la struttura a tre archi prima della demolizione del 1875. Nel manufatto di San Michele risaltano le balaustre apposte con la ricostruzione iniziata, dopo un crollo improvviso, nel 1621. Tra il rosso delle tegole dei tetti si vede svettare il campanile della chiesa di San Paolo, una delle antiche sette cappelle urbane di Vicenza. Con i decreti napoleonici del 1806-1810 fu venduta a privati insieme alla canonica; interessata prima da lavori di rifacimento scomparve poi definitivamente negli anni trenta dell’Ottocento. Oggi rimane uno slargo dedicato dal 2012 all’editore vicentino Neri Pozza. Gli edifici che si affacciano su entrambe le sponde sono restituiti dal segno e dal colore in ogni minimo dettaglio. Le aperture dei volti, dei portoni, delle finestre e dei balconi e le balaustre sono differenziate nella forma e nel materiale. Sulla sinistra spicca un palazzetto gotico raffigurato con una pentafora e con i parapetti decorati tipici di quello stile.
Ma il motivo della redazione del disegno è quella casa con mulino di proprietà dei carmelitani, contrassegnata con la lettera A. L’edificio è collegato alla terraferma da un ponticello e le due ruote macinano sorgo e frumento.
Il convento di San Girolamo ne era divenuto proprietario in seguito al testamento di don Pier Francesco Marcolini del fu Zuanne. Nel 1743 il sacerdote, dopo una serie di generosi legati a parenti, amici e servitori, aveva nominato i frati eredi universali nel caso in cui si fosse estinta la discendenza della famiglia Marcolini chiedendo in cambio messe e preghiere quotidiane a salvezza della propria anima. Il patrimonio era consistente e annoverava rendite, case e terre a Brendola e diversi edifici in città tra cui due palazzi all’Isola, oggi piazza Matteotti ai civici 18-24. Don Pietro era morto il 24 dicembre del 1752 e nei quasi dieci anni trascorsi dal momento del testamento aveva visto assottigliarsi il capitale a causa di liti e disgrazie tanto da essere costretto a ridurre l’entità dei suoi lasciti. Addirittura pochi mesi prima di morire aveva testimoniato dinanzi ad un notaio i raggiri di cui era stato fatto oggetto da parte di un giovane che lo aveva diffamato e gli aveva estorto ben 500 ducati. Della massa dei beni restavano pochi affitti, l’edificio padronale di Vicenza in piazza dell’Isola, venduto nel 1757 a Zambrun, e quel mulino sul Retrone. Nel giro di alcuni anni se ne perdono le tracce e nella prima mappa catastale della città di Vicenza, quella del 1810, il mulino non compare più. Di tutta questa storia, però, a noi rimane l’eredità più preziosa, uno splendido disegno di un angolo di Vicenza da condividere con tutti.
a cura di Maria Luigia De Gregorio